Flatland

Flatland: Quando i letterati giocano con la scienza.

Voltaire con Micromegas (post sul blog), Calvino con la Cosmicomiche, Lovecraft con Chtulu, quando i letterati giocano con le scienze non solo non ci si annoia ma è possibile che queste ne prendano nuovo slancio.

Due sono le caratteristiche principali dell’essere umano che ci distinguono dal resto del regno animale: inventiamo storie e misuriamo, si può dire che le storie più belle le inventiamo quando la misurazione non è sufficiente a comprendere il mondo intorno a noi come accadde per i miti e le religioni. Inventiamo storie anche per spiegare fenomeni e concetti a chi non ha sufficienti mezzi per comprendere realtà astratte, come le parabole nei Vangeli o i miti di morte e rinascita.

Non ho idea del fine che si fosse posto Abbott quando ha deciso di pubblicare, anonimo, Flatland, se avesse uno scopo matematicamente didattico o filosoficamente speculativo, so solo quello che è rimasto a me della lettura.

La storia è presto detta: un abitante di un universo bidimensionale entra in contatto con l’abitante di un universo tridimensionale poco tempo dopo aver sognato di ritrovarsi in una realtà unidimensionale.

Mi interessa poco qui fare la descrizione degli abitanti e delle regole di Flatland, così come poco mi interessa citare le varie interpretazioni che spaziano dalla critica alla società vittoriana all’incasellamento ante-litteram nel genere distopico, tutto questo lo potete trovare tranquillamente su Wiki.

Quel che preme a me è trovare una chiave che il lettore possa utilizzare per considerare attuale questa lettura e leggerla come una parabola. Fortunatamente il racconto segue una simmetria e progressione a prova di bambino.

Quadrato, il protagonista del racconto, visita quattro universi, ognuno con un numero di dimensioni diverse: dal più semplice No Dimensions popolato da un unico punto che è esso stesso suo proprio mondo e universo, privo del concetto di “altro” e di pluralità, pienamente soddisfatto di ciò che è, al più complesso, Spazio, l’universo delle tre dimensioni dove vive Sfera, il suo mentore, il Virgilio di questo viaggio tra realtà e sogno.

Gli abitanti dei tre regni visitati, Lineland, Flatland e Spaceland, sono tutti accomunati dalla stessa predisposizione: contrastare ed eventualmente eliminare chiunque osi menzionare la possibilità di un universo diverso dal proprio.
Il sogno in cui Quadrato visita Lineland si conclude con un attacco sincronizzato di tutte le linee contro di lui che riesce a sfuggire solo perché si sveglia.
Quando Sfera compare nel Gran Consiglio di Flatland i testimoni vengono condannati al carcere a vita solo perché presenti durante la rivelazione di una realtà che doveva rimanere conosciuta solo ai pochi consiglieri.
Perfino Sfera non è immune da pensieri violenti quando Quadrato gli fa notare che, dati i quattro universi di cui sono a conoscenza, non è da escludersi la possibilità di un universo di dimensioni superiori
“There is no such land” è la sua prima reazione, la prima reazione di un essere razionale di fronte alla possibilità che esista una realtà diversa da quella conosciuta è la negazione, accompagnata da un senso di minaccia e questa sensazione si risolve in genere con un atto violento o con la derisione. Pressato dalle domande di Quadrato sulla possibile esistenza di un universo a quattro dimensioni, Sfera lo abbandona.
Nel capitolo 15, dopo aver sognato l’universo di Lineland e prima di incontrare Sfera, Quadrato ha una conversazione con suo nipote Esagono, il ragazzo specula sulla possibilità di una terza dimensione dalla semplice osservazione delle regole delle due precedenti. “The boy is a fool” è tutto quello che Quadrato riesce a pensare nonostante abbia già avuto prova dell’esistenza di un universo di diverse dimensioni.
Non credo sia un caso se a proporre una terza dimensione sia il nipote, più giovane, di sei lati anziché quattro e dunque meno distante dalla perfezione del cerchio secondo le leggi di Flatland e tuttavia non perfetto.

La giovinezza è uno stato mentale che va a braccetto con il sogno e la ribellione, un periodo in cui si crede che il cambiamento sia possibile.
Non sono forse state trattate con sprezzante ironia quelle donne che ai primi del XX secolo sognavano il diritto al voto? Non è forse stato minacciato di morte Galileo Galilei per aver rivelato la tesi eliocentrica che gli uomini del Santo Uffizio ben conoscevano ma volevano restasse ignota alle masse?

La conservazione dei piccoli privilegi e delle certezze acquisite è qualcosa che va difeso a qualunque costo, anche quando non ci crediamo davvero.
Sempre meno sono ormai gli italiani che frequentano le chiese ma guai a togliere il crocifisso dalle scuole. Non siamo soliti curarci del lessico della nostra lingua ma la possibilità di pronunciare parole come “sindaca” o “avvocata” ci disturba.

Alla fine siamo solo gatti acciambellati sulla nostra poltrona, magari vecchia e cigolante ma nostra e per questo intoccabile.

Un ultimo pensiero prima di chiudere.
Quadrato, basandosi sulla progressione geometrica, si confronta con Sfera sulla possibilità di un universo quadridimensionale. Dopo un primo momento di negazione, Sfera ammette controvoglia che sì, anche nel loro universo c’è chi asserisce di essere stato testimone dell’apparizione di un essere superiore e che questo essere così come apparve improvvisamente scomparve. Nessuna spiegazione ufficiale ma vi è chi ritiene che si tratti di visioni provenienti dalla propria mente, “dalla perturbata spigolosità del veggente“.

Chissà se Abbott pensava alla dimensione del tempo o a qualsiasi altra ipotetica dimensione fisica o se stesse pensando alle dimensioni parallele che si ritrovano nelle opere di Dick.
Come Dick, ottanta anni prima di The man in the high castle, Flatland mette in discussione il concetto di realtà, di verità e di narrazione, accosta coloro che hanno avuto esperienza di un’altra dimensione ai veggenti, il seer è colui che vede oltre, il voyant di Rimbaud, destinato ad essere incompreso da vivo, rivalutato solo da morto.
Un vecchio Cerchio asseriva che i profeti e gli esseri ispirati sono sempre considerati pazzi dalla maggioranza.
In Sogno di una notte di mezza estate Shak mette pazzi, amanti e poeti sullo stesso piano:

Pazzo, amante, poeta: tutti e tre sono composti sol di fantasia.

William Shakespeare: Sogno di una notte di mezza estate, 1595

Toglierei l’amante, inserirei la giovinezza.

Giovane pazzo poeta era Rimbaud, a sedici anni, quando scrisse la lettera del Veggente, una rottura con la tradizione letteraria dell’epoca:

Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il sommo Sapiente! – Poiché giunge all’ignoto! Avendo coltivato la sua anima, già ricca, più di ogni altro! Egli giunge all’ignoto, e anche se, sconvolto, dovesse finire per perdere l’intelligenza delle sue visioni, le avrebbe pur sempre viste!

Arthur Rimbaud: Lettera del Veggente a Paul Demeny, 1871

Cadeau finale: Flatlandia, cortometraggio d’animazione del 1982 diretto dal matematico italiano Michele Emmer.

E no, non ce la faccio, ancora un po’ di pazienza!

Come posso evitare di parlare di un altro dei temi che mi sta a cuore già presente nel citato Micromegas di Voltaire?
Ogni personaggio ritiene che il proprio universo sia necessariamente l’unico, i viaggi di Quadrato dimostrano invece che c’è altro che non conosciamo, che non sentiamo con i sensi fisici e che la ragione non arriva a ipotizzare ma che possiamo forse percepire in altri modi, sentire.
Quanto deve essere gretto e meschino l’uomo per credere che sia tutto qui, che le piccole lotte quotidiane siano significanti? Che le grandi lotte per la conquista di miseri pezzi di terra fangosi contino qualcosa.
Siamo esseri incompleti e per questo irrequieti. Qualunque conquista non sarà mai abbastanza e forse sarà tutto comunque inutile.

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